Siamo sull’Appennino Tosco Romagnolo, montagna per poche decine di metri, più precisamente a Razzuolo, sulla Via Faentina che collega Firenze a Faenza, nel tratto tra Borgo San Lorenzo e Marradi. Paese di poche anime e di origini antiche fu fondato intorno all’anno 1000 dai monaci dell’Ordine Vallombrosano sulla strada che già allora conduceva al valico appenninico (nella toponomastica il “razzo”, da cui si pensa derivi  “Razzuolo”, era il luogo dove si cambiavano i cavalli e si trovava ristoro prima di affrontare il passo). La tortuosa strada che interseca più volte le correnti del fiume Ensa porta al centro abitato, incastonato tra boschi, impervi pascoli e castagneti secolari, un tempo sostentamento e economia primaria degli abitanti della montagna.

 

Il processo di marginalizzazione, che ha interessato il territorio montano dalla seconda metà del XX secolo, ha portato con sé non poche conseguenze sul paesaggio e la sua popolazione. Già fortemente modificato dagli imponenti rimboschimenti effettuati nel secondo dopoguerra, il territorio ha subito un’ulteriore semplificazione con l’avanzamento del bosco, a discapito dei seminativi e dei castagneti in parte caduti in abbandono. I sentieri che li collegavano, non più battuti né salvaguardati, sono diventati inaccessibili, lasciando solo vaghe tracce di quella che un tempo era una fitta rete di viabilità. A Razzuolo, come in altri paesi limitrofi, il processo di abbandono e il conseguente calo di attività e servizi è aggravato dall’invecchiamento degli abitanti ma soprattutto dallo scarso interesse delle nuove generazioni che, pur risiedendo in paese, vivono altrove la loro quotidianità.

 

In questo contesto l’unico centro di collettività rimasto nel paese è LA CASA DEL POPOLO e da qui abbiamo cominciato. Nato nell’immediato dopoguerra, questo spazio è un esempio di bene comune gestito dall’intera comunità del paese: le collette per le ristrutturazioni riguardano tutte le famiglie e lo stesso vale per le iniziative di raccolta fondi. Per questo abbiamo scelto il circolo come punto nevralgico del festival, luogo di resistenza e di presidio dal quale le nostre attività partono per snodarsi tra le case e nei boschi circostanti.